La Mongolia Bike Challenge raccontata da Giuliana Massarotto

La Mongolia Bike Challenge raccontata da Giuliana Massarotto

Buongiorno cinghiali!

La Mongolia bike challenge credo (purtroppo posso solo crederlo) sia una delle gare a tappe più spettacolose che ci siano, non ci sono dubbi.

Nei nostri amici in rete ho potuto importunare Giuliana Massarotto, grande appassionata che ha avuto la fortuna di disputare questa gara e, disponibissima, ha accettato di raccontarcela.

Ringrazio Giuliana che odio (ovviamente scherzo e lei sa il perchè) e vi lascio alla sua intervista/racconto:

 

D. Ciao Giuliana, grazie per la disponibilità a raccontare questa fantastica avventura ai nostri amici.
Innanzitutto parlaci un po’ di te, chi è Giuliana Massarotto?
R. Grazie a voi per avermi dato la possibilità di farlo!
Giuliana Massarotto è una sognatrice che di tanto in tanto riesce a realizzare qualche suo sogno! Scherzi a
parte, di solito mi autodefinisco per la mia professione che amo molto, quindi direi che sono una
bibliotecaria amante dello sport in genere, che ama cimentarsi in nuove imprese e che ama le sfide con se
stessa.
D. Cos’è la mountain bike per te?
R. Una passione.
La mtb è il mezzo per concretizzare il mio desiderio di avventura, di scoperta, di esplorazione di nuovi
territori, nuove dimensioni di me, il bisogno primordiale di stare a contatto con la natura, di respirarla, di
viverla e il mio innato interesse per culture e lingue diverse.
La mtb è anche la mia bici, anzi le mie varie bici, con le quali instauro un feeling speciale, una complicità
che mi permette di muovermi e fare distanza.
D. E ora, in paroloni e senza tecnicismi, cos’è la Mongolia Bike Challenge?
R. Come suggerisce il nome, è una sfida in bici in Mongolia, ideata da Willy Mulonìa, organizzata da
Progetto Avventura con partecipazioni canadese, spagnola e mongola e di vari importanti sponsor. Si tratta di
una gara di sette tappe all’interno di diverse parti del vasto territorio di questo immenso paese, che conserva
ancora intatta la sua natura. E’ riservata a 108 concorrenti perché questo è un numero speciale per la
Mongolia. I tracciati sono interamente sterrati e si procede su piste lunghissime e tratti in montagna, nella
tundra, nella steppa, moltissimi divertenti e impegnativi guadi da affrontare in bici o a piedi. Per ogni tappa
c’è un limite di tempo entro cui arrivare per poter procedere con la tappa successiva. Concluse tutte le tappe
si ottiene la maglia di finisher, che rappresenta una grande soddisfazione personale e un bellissimo ricordo da
indossare.
D. E ora ci vuoi raccontare la tua MBC?
R. Raccontarla tutta sarebbe lunga. Dura dal giorno in cui ho deciso di partecipare a quando smetterò di
raccontarla ☺…
Sono stata la prima concorrente a portare il numero 108 e ne sono molto fiera.
L’ho definita fin dall’inizio una garavventura, perché è una gara che mi ha proiettato in un altro modo di
vivere per un paio di settimane. Sono uscita dalla mia casa, dal mio ufficio, dalla mia vita di tutti i giorni e ho
vissuto un’altra vita. E’ stata talmente coinvolgente che a volte fatico a rispondere alle domande se ho
sofferto o se è stata difficile. Quando sei motivata e ci metti impegno e determinazione le cose difficili
prendono una piega diversa e la soddisfazione e l’emozione di essere in quel luogo ti fanno dimenticare la
fatica e il disagio.
La MBC è stata la mia prima gara a tappe che ho affrontato da sola (nelle altre ero in coppia) e sono molto
contenta dell’esperienza anche se da sola mi distraggo di più perché mi perdo nel paesaggio o nel silenzio o
seguo il filo dei pensieri o guardo gli animali…
Nell’avventura questa volta ho coinvolto anche mio marito in qualità di meccanico che mi ha fatto trovare la
bici sempre in ordine e splendente tutte le mattine (con fiori diversi sul 108 ☺) e ha anche collaborato con lo
staff nei punti di rifornimento come assistente meccanico per gli atleti durante le tappe.
Nelle prime due tappe mi sono espressa un po’ meglio per il tipo di percorso a me più congeniale, più salite e
tratti montagnosi, poi nelle altre tappe ho forzato il mio corpo ad affrontare percorsi veloci ad andatura più
sostenuta e costante, a me meno congeniali, ma amo le sfide e comunque il paesaggio mi ha aiutato molto a
distrarre la mente dallo sforzo, specie nell’ultima parte della seconda tappa mi sono molto divertita
nell’affrontare gli innumerevoli guadi nel fiume e pozzanghere grandi come piscine.
Il giorno della terza tappa, interrotta a causa delle conseguenze della pioggia incessante caduta durante la
notte, è stato un giorno speciale per me perché l’imprevisto ha creato le condizioni per vivere un’esperienza
che ricorderò. Siamo tornati indietro e abbiamo trovato riparo nelle gher di una famiglia di pastori che ci ha
ospitato tutti al calore di una stufa [vedi foto]. Il tempo era cambiato, il vento soffiava impetuoso e il cielo
era pesante di nuvole e noi eravamo fradici per aver guadato e attraversato fin dalla partenza molti corsi
d’acqua e pozzanghere enormi, poi lo staff ci ha organizzato il trasferimento in piccoli gruppi verso il campo
di tende della tappa successiva situato in un punto elevato. Ho condiviso la stessa “crash-machine”
(chiamavo così i fuoristrada che ci seguivano) con Jason, Takei e Choka (americano, giapponese, mongolo) e
insieme abbiamo viaggiato per circa quattro ore su una pista lunghissima arrivando verso sera al campo-base.
Un viaggio incredibile sulle “montagne russe”: guadi, buche, dossi, solchi enormi che i bravissimi guidatori
mongoli sanno affrontare con grande maestria, provare per credere! Mi sono divertita da matti, un po’ meno
Takei che urlava terrorizzato e Choka che controllava a stento i conati ma che gentilmente rispondeva alle
mie domande sul suo paese e ai miei mille “come si dice questo?”, ma nello stesso tempo non ho perso
l’occasione di osservare l’infinita steppa che attraversavamo. La sera prima della penultima tappa Daris, Fabio ed io abbiamo deciso di creare per un giorno il team
italiano di ventiquattroristi e abbiamo affrontato la tappa più lunga (170 km) assieme. E’ stata una bella
esperienza e anche quel giorno panorami incredibili si aprivano ai nostri occhi ad ogni sommità raggiunta.
Di sicuro non dimenticherò l’ultima tappa (92 km) percorsa a tutta senza respiro in competizione con alcune
atlete e tribolata negli ultimi 15 km per un piccolo guasto che mi ha costretto ad affrontare le ultime salite
con rapporti durissimi, sforzo che mi ha permesso di mantenere la quinta posizione del giorno.
Questa mia MBC è stata soprattutto un’esperienza di vita in un paese che non avrei mai pensato di poter
visitare in bici, che mi ha permesso di condividere emozioni e spazi con atleti da tutto il mondo, alcuni dei
quali ritrovati dopo tanto tempo come se fosse dal giorno prima, che mi ha permesso di vedere da vicino una
natura incredibile, di conoscere persone e culture molto diverse dalla mia, che mi ha portato ancora una volta
a sfidare la mia resistenza e che mi ha arricchito in tutti i sensi.
D. Che rapporto si instaura con gli altri concorrenti?
R. Un rapporto a due lati. Quando hai un numero sulla bici è difficile non farsene coinvolgere, nel senso che
comunque l’istinto agonistico prevale sugli altri istinti. In gara si corre, ognuno al meglio delle proprie
energie, improvvisando strategie di gara, sfruttando traiettorie, fianco a fianco o da soli ma ognuno più o
meno concentrato nella propria gara a perseguire i propri obiettivi.
Fuori gara si è più sereni, si è conclusa una tappa, ci si riposa, si scherza, si ride, si mangia assieme, si
condividono spazi e momenti intensi di una vita fuori dalla routine.
Direi che il rapporto che si instaura fuori della gara è bellissimo, nascono amicizie più o meno profonde che
poi rimangono nella vita, anche se vissute da lontano e dipendono dal grado di affinità che esiste tra le
persone.

(Continua dopo le immagini…)


 

D. E’ una gara vera e propria o tra i vari partecipanti si instaura un rapporto diverso da quello della
competizione?
R. E’ una gara ma si riesce a comunicare, magari di più con gli uomini perché le donne stanno in un’unica
categoria quindi in competizione e si tiene il fiato per pedalare. In questa gara le donne erano molto forti con
una tenacia sconcertante ma fuori gara ho instaurato bellissimi rapporti di confidenza con alcune di loro.
Condividevo le gher con la vivace e sorridente Sonya, chiacchieravo volentieri con la simpaticissima e molto
aussie Jessica o incontravo Milena che purtroppo, in coppia tandem con Giuseppe, ha avuto problemi di
salute fin dall’inizio della gara. Mi piaceva molto intrattenermi con il gruppo degli spagnoli che solo con il
suono prorompente delle loro voci animavano tutto il gruppo di atleti, Carlos che non perdeva occasione di
mostrare la sua catalanità, la prorompente Caterina e i fratelli Zamora, in netto contrasto con i più riservati
vincitori della gara Catherine e Cory, il sorridente Ricardo o il solitario Joao che a fine gara ha pedalato in
solitudine nel deserto del Gobi, l’esuberante Erik, il loquace James, l’irrequieto Takei, e molti altri… Spesso
nel dopogara avevo la sensazione di trovarmi in una numerosa famiglia!
Nelle gare endurance vi è solidarietà e collaborazione quando un concorrente è in difficoltà. Sono tappe
lunghe, si sta in sella per ore e spesso anche una parola d’incoraggiamento aiuta a ricaricare le batterie. Al di
là della differenza di prestazioni tra elites e amatori vi è comunque un maggiore avvicinamento tra atleti
anche fuori gara forse per la consapevolezza di condividere un’avventura, si vive assieme e ci si racconta la
tappa del giorno e poi anche la propria vita. E l’ultimo giorno ci si scambia mail, numeri e saluti come se si
fosse trascorso un lungo periodo assieme.
D. Al di là dell’evento sportivo cos’è la cosa che più ti ha colpito?
R. Gli spazi immensi, il senso di infinito che ti proietta in altre dimensioni interiori, è come vederti qui e
immaginare di essere già lì in fondo a chilometri di distanza in pochi attimi, come se avessi il dono
dell’ubiquità.
Io amo la natura e la Mongolia ti assale nella sua imponenza. La natura in questo sconfinato paese è
predominante e una folla di sensazioni ti pervadono, ti senti piccolo in quest’immensità e nello stesso tempo
grande per poterne gioire e farne parte. Vasti paesaggi reiterati all’infinito: a volte le montagne rocciose con
gli alberi sono vicine, altre volte sono quella striscia scura laggiù all’orizzonte e in mezzo un oceano verde di
dune sinuose senza alberi. Piccole nuvole di polvere lontane ti fanno capire che lì qualcosa si muove, incontri
cavalieri-pastori che ti salutano, gruppi di cavalli che con le chiome al vento ti attraversano il percorso,
cammelli tranquilli che pascolano, un’aquila imponente nell’erba che ti guarda passare e di tanto in tanto le
bianche gher dei pastori che ti ricordano tracce umane, un incredibile cielo azzurro che sembra appoggiarsi
sulle dune all’orizzonte, o il cielo nuvoloso sui cespugli colorati della tundra scossa da un vento impetuoso.
Spesso quando ero sola mi facevo suggestionare dalla silenziosa onnipresenza di Chinggis, chissà magari
stavo percorrendo la stessa pista che lui ha percorso secoli fa sul suo cavallo…

D. E quella che ti porterai nel cuore?
R. Mi ripeto: la sensazione di infinito che mi ha riportato nella mia dimensione e il grande silenzio/suono
della natura.
I primi giorni faticavo a concentrarmi in gara perché continuavo a guardarmi attorno e la tentazione di
fermarmi ed assaporare quei momenti era molto forte.
E poi non dimenticherò i pastori, gli animali, la vita nelle gher, un modo semplice ma concreto ed efficace di
affrontare uno spazio infinito che diventa ancora più selvaggio ed ostile in inverno.
D. Ti va di raccontarci un aneddoto o un fatto curioso accaduto durante la corsa?
R. Eravamo un gruppetto di bikers che dopo una lunga e veloce cavalcata ci siamo bloccati per affrontare un
corso d’acqua che scorreva abbondante dopo una notte di pioggia. Ognuno cercava una propria via di guado
ma non si riusciva a vedere la profondità. Ho provato a entrare con la bici ma la ruota anteriore è
sprofondata, mi sono aggrappata all’erba per non cadere in acqua ma la corrente mi ha strappato la bici e ho
dovuto rincorrerla dalla riva per riprenderla. Il momento è stato drammatico ma quando ho ripreso la gara
continuavo a ridere da sola immaginando la scena di me che rincorrevo a piedi la mia bici nel fiume.

D. A chi anche solo sognando pensa a questa competizione quale consiglio ti sentiresti di dare?
R. Di mantenere la calma interiore e cercare di vivere consapevolmente ogni singolo momento, anche i
momenti difficili in cui ti sembra di soccombere. Essi rappresentano piccoli passi verso il tuo traguardo e
saranno quelli che ricorderai più del traguardo stesso.