T’innamorerai ma forse non di me (cit.)

Già lo sapete, ma ve lo ripeto perchè tanto questo è il mio spazio e faccio come mi pare: sono vecchio. E ai vecchi non è solo concesso sentenziare; i vecchi spesso ricordano e, ancora più spesso, ricordano di aver fatto qualcosa prima di voi. Chiunque voi siate.

Così la mia mente, stimolata da questa nuova esperienza setolosa, ha cominciato a spolverare ricordi legati al mondo delle due ruote e sono davvero tanti: alle domeniche passate sulla fiat 131 SW ammiraglia a seguire orde di dilettanti che compivano imprese epiche senza risparmiarsi su nulla, nemmeno sui colpi bassi (anche se io ero più interessato al CB e alla possibilità di parlare con altre persone senza fili ovunque ci trovassimo). Alle gare di bmx sul campo di calcio di Santo Stefano (quello con l’angolo smussato dall’incrocio, per intenderci) trasformato da camionate di terra in quello che a me appariva come il Colosseo agli occhi degli schiavi delle remote province asiatiche.

Alla mia BiciMX rossa e cromata.

E qui il cuore comincia ad accelerare.

Ho avuto decine di biciclette: le Bianchi (verdi cangianti) di mio nonno Virgilio, con gli elastici a raggiera che partivano dal mozzo posteriore fino al parafango (chissà perché), l’indistruttibile Graziella rossa, poi con le mitiche bombolette diventata arancione e poi ancora gialla fluorescente (lavoro sempre eseguito da schifo, ndr), la mitica Saltafoss, la DiamondBack Racing in titanio che si torceva sotto il mio peso.

Da qui il passo è breve: “il colpo di fulmine”.  Quale, o meglio, quali biciclette ci hanno dato quella scarica di adrenalina pazzesca, ci hanno fatto letteralmente battere il cuore alla sola visione, ci hanno accompagnato in viaggi epici, fatto pedalare su strade
mai percorse, nel fango, sulla terra arida e secca che ti sporca scarpe e pantaloni e che a distanza di settimane ancora colora il tuo muco di arancione quando ti soffi il naso?

Io ne ho 3.

 

ORO

 

 

 

 

 

 

 

1984, 8 luglio: naturalmente lei, la BiciMX Atala, cromata, con dettagli rossi, sella rigida e manopole rosse a pois gialli, con i pedali d’acciaio che inspiegabilmente avevano degli spuntoni rivolti verso l’esterno che non avevano la funzione di ancorare le tue Nike Superstar Tennis bianche e azzurre negli affondi ma bensì di conficcarsi con violenza inaudita nei tuoi stinchi dopo il primo salto (e i miei stinchi “unisci i puntini style” sono qui a testimoniarlo).

Lei, compagna inseparabile di avventure, le mie preferite nelle cave tra Baraggia e Boca, con piste e salti naturali sulla terra argillosa che a distanza di settimane dall’ultima pioggia ti si incollava ancora ovunque.

Lei, pagata 135.000 lire con i soldi vinti (200.000 lire!) a “Pronto, Raffaella?”.  (Per i pochi che non dovessero ricordarsi del programma).

Giusto per intenderci: Berlino era ancora divisa dal muro.

 

ARGENTO

 

 

 

 

 

 

 

1988, Natale: mountain bike Atala con cambio Shimano a levette, 18 velocità, gialla e blu fluorescente.

Uno dei regali di Natale più belli e inattesi (e per questo ancor più belli) della mia vita e già questo basterebbe. Ma questa è stata anche la bicicletta più longeva, la compagna inseparabile che mi ha fatto scoprire il freeride, il Fenera, la Traversagna, il Mottarone, le colline dell’astigiano,…Tante, troppe avventure per poterle raccontare tutte. Fatte, tra l’altro, con l’equivalente di peso di 2,5 mtb attuali…segaioli che non siete altro (e che non vi è bastato neanche Youporn! Avete dovuto inventarvi anche Pornhub! Incredibile…)

Anche questa, nel tempo, ha cambiato colore e aspetto ma questa volta la tecnica era migliorata. Ha concluso la sua onorabilissima carriera con un color granata e un fichissimo adesivo Rollerblade (lo stesso che contraddistingueva la mia Y10 e che lasciava intendere quanto fossi figo e avanti).

A Berlino si respirava già un’aria diversa.

 

BRONZO

 

 

 

 

 

 

 

2009, marzo: era passato davvero molto tempo dall’ultimo innamoramento ma non per questo è stato meno folgorante; la prima fixed che mi capitava di vedere, leggera, pulita nelle linee, senza fronzoli inutili, con il manubrio stretto, aerodinamica.

L’essenza della bicicletta.

Lei, ancorata ad un palo da qualche hipster del ca**o (avrei scoperto amaramente qualche tempo dopo che, come in ogni storia d’amore che si rispetti, c’è sempre qualche stron*o che ti ha preceduto nella “scoperta” e, nel profondo, ha inquinato la magia del vostro rapporto – tu, hipster del ca**o).

Da quel rapporto amoroso è nata poco dopo la CATorcio 2.0, la mia attuale contropedale: bianca, pulita, l’essenza della mia pigrizia.

Era Hells Kitchen. Era New York. Berlino era già stata conquistata dall’Occidente.

 

Tanto vi dovevo.

D.