Ci sono eventi che rievocano storia e la passione allo stesso tempo. Quello organizzato dai ragazzi di Ciclistica è forse uno dei più belli. Si tratta di una gara da Milano a Torino rigorosamente riservata a bici a scatto fisso che parte dal Velodromo Vigorelli e termina al Motovelodromo di corso Casale, il primo dismesso e dimenticato da anni, il secondo se pur con molte difficoltà in via di riqualificazione.
Quest’anno la gara si è tenuta il 3 aprile, i partecipanti che hanno percorso il tracciato di 145 km sono stati veramente tanti e non tutti ce l’hanno fatta, ma non importa, lo spirito della manifestazione piace veramente tanto a noi wildpigs. La bellezza di poter percorrere tutto il tragitto sfruttando unicamente le proprie forze da quel tocco in più all’impresa, che altrimenti sarebbe priva di quel valore di “conquista” che tanto rende uniche le nostre uscite in bici.
Per farvi capire qualcosa di più cito il racconto di un ragazzo di nome lele che descrive così la sua esperienza (fonte: Vintage rider) Leggetelo tutto d’un fiato come ho fatto io, ma soprattutto leggete le ultime due parole del racconto, quelle sono la risposta a tutti coloro che si chiedono il perchè ci piace tanto la bici! Complimenti veramente a tutti!
Quello che hai vissuto in quei 150km di fatica e sudore te lo ricorda il giorno dopo quando scendi le scale di casa per andare a lavoro. Il primo gradino è come una sveglia: fai quel passo e quella piccola scossa alle tue estremità basse ti urla nella testa quel bruciore che hai sentito nelle gambe il giorno prima per oltre 4 ore. 4 ore 35 minuti dirà alla fine il Garmin, per 150km complessivi, quasi 33 di media, con solo una corona da 48 ed un pignone da 16 a disposizione. Una piccola grande impresa iniziata sotto le rassicuranti e un poco tristi mura del Vigorelli e finita tra il cemento provato e carico di storia del Motovelodromo di Torino. Dove sono entrato a fiato sospeso, pensando che fosse finita, che un arrivo così lo fanno quelli veri e che ieri in fondo un po’ “vero” lo sono stato anche io. E tutti gli altri 80 e passa che hanno deciso di arrivare a Torino su una bici da pista, con rapporto fisso, con solo due gambe e la propria testa come vero aiuto.
Ma il principio è stato tutt’altro che eroico: il mio pre gara non è stato dei migliori, due settimane di acciacchi fisici, antibiotici come se piovesse ed una forza mentale andata a farsi un giro dove il mio fisico non poteva. Ma la domenica mattina arrivo riposato, deciso, consapevole dei mei mezzi e pronto a “spurgare” il più velocemente possibile corpo e testa da una non forma che non corrisponde al mio potenziale attuale. Dal meeting alla partenza passa il tempo di due pensieri e due risate con il solito Calè (oggi in veste di direttore tecnico). Ci siamo, attorno a me vedo tante facce amiche, e io sono sereno e divertito. Si parte tranquilli, e si parla, e si scherza: i primi paesini passano in un nulla, ma Abbiategrasso segna l’inizio delle prime ostilità. Qualcuno allunga, JT dall’America scalpita (che gamba che ha il ragazzo..touchè!), i due “giovincelli del team Ciclistica” son sempre li sul pezzo pronti a scattare, noi ci compattiamo e lavoriamo di squadra. Davanti siamo di nuovo tutti insieme ma di lì a poco le prime micce troveranno la loro scintilla. Che si chiama Mortara nello specifico e si ricorda per un doppio errore di rotta. Succede che i soliti giovini di Ciclistica insieme a JT e Legor del casino ne approfittino per scattare via. Noi lo capiamo ma nonostante tutto sbagliamo ad una seconda rotonda, ripartiamo, alziamo il tiro, si passano i 40km veloci, con Menthos e Fra davanti di 100 metri io e Ferdi insieme fino a riprenderli con qualcuno dietro: siamo in 6 o 7 ora e siamo all’inseguimento. Passa qualche km e dopo un bivio arriva il vero bivio per la mia di gara: mentre sono già lì che spurgo antibiotico e fatica il mio gruppetto si trova a fare un poco di “dietromotore”, ma il fuorigiri non lo gradiscono le mie gambe, mollo un pelo, il gruppo si allontana pian piano, mi dico “ora l’auto si stacca”, ma l’auto non si stacca. E io rimango indietro, probabilmente li avrei persi lo stesso più avanti, ma invece succede ora. Sono solo, ma per fortuna non ho il tempo di rattristarmi, perchè poco dopo un trio guidato da un ragazzo su un telaio Ciclistica Corse nero si aggiunge alla mia ruota: saranno la mia “prima squadra” della giornata e con loro pian piano metterò le basi della mia gara. Risultato: ci diamo un gran da fare, pedaliamo forte, mettiamo in piedi cambi veloci e fatti bene, e tanti km passano sotto le nostre ruote. Ma quelli dell’auto rimarranno un miraggio…
Ma fortuna vuole che il mio gruppetto si ripopoli e rinnovi: arriva Rocco delle Pipe (che diventerà il mio compagno fino all’arrivo: è stato un vero piacere conoscerlo) ed un gruppetto di ragazzi belli carichi tra i quali uno in camicia e cappellino che diventa subito il mio idolo. Ma quelli davanti paiono sempre troppo lontani, l’auto non si vede, loro neppure. O Forse si, colpo di scena: appaiono delle sagome, vedo qualche testa, li riconosco! Sono Huxley, Strike, Marco Edicola, parte dei miei compagni di sempre, con il primo intento a sistemare le brugole (!!) del suo manubrio in corsa, stortatosi su una buca. Mi sento a casa, e loro (ri)diventeranno il mio gruppo (anzi il nostro gruppo, perchè Rocco è ormai mia compagno di viaggio) fino all’arrivo, mentre gli altri ragazzi con i quali ho pedalato fino ad ora di li a poco rimarranno indietro.
Ma la corsa continuerà non senza problemi e colpi di scena anche per me: come quando la fatica mi assale verso l’80esimo km. E’ il mio vero momento di crisi, con il fisico che risponde male, le gambe peggio, ed io che sudo e “spurgo merda” che è un piacere. Ma non mollo, non fermo le gambe neanche un secondo, seppure con fatica: all’uscita di un paese perdo 50 metri che mi saranno quasi fatali. Perchè vedo qualcuno di quelli davanti a me del mio gruppetto sfruttare una delle ammiraglie per qualche km, con quelli dietro a lui immediati ad alzare il ritmo anche loro. Io non sono pronto a mettermi in scia, è il momento più buio: capisco che inevitabilmente sta finendo male per me, mentre vedo i miei metri di distacco diventare 100, 300 e anche più.La situazione però mi sblocca, perchè cazzo sto rimanendo indietro sul mio gruppetto e non devo permetterlo: “penso è la fine, fai qualcosa o gara fottuta”. E tempo qualche km ritrovo la testa e le gambe, mentre arrivano alle mie spalle 3 ragazzi torinesi guidati da uno spilungone come me su una Gios. E lui sarà il mio trampolino per “tornare in gara”: il mio exgruppo è infatti sempre li a meno di 500 metri. Che tempo qualche pedalata a pieni polmoni diventano 400 e poi sembrano scendere ancora. Io e il mio nuovo compagno ci gasiamo e non possiamo che dirlo: “cazzo andiamo a prenderli”. E così sarà, vialoni, cambi veloci, un po’ di sana scia anche per noi dietro un auto e mentre perdiamo gli altri due, e dopo aver fatto quasi tutto steso sulle appendici, con un ultimo strappo ritrovo i “miei”. Avrei voglia di fermarmi, guardare il cielo, fare due passi, mangiare un porco intero, ma capisco in fretta che non succederà, mentre il mio compagno di recupero mi guarda, sorride amaro e dice “mi avevi promessi ci saremmo fermati, devo fare pipi da abbiategrasso”. Ma sa che mentivo, ed infatti la pipi la farà a Torino, perchè ora il gruppo non lo mollo più neanche se mi sparano.
Passano strade e compagne, fino a quando mancano 45km circa: siamo compatti, Rocco è un perfetto capo squadra, incita al cambio, spinge, io di mio sto bene, tiro spesso il gruppo e nel mentre riprendiamo anche il fiorentino con lenticolare che si era staccato dal gruppo di testa. Poi c’è Huxley di fianco che è un’altra certezza, Riccardo che tiene bene anche lui e Marco che non molla di certo e mi parla di quanto stia sognando l’arrivo già da un pezzo. Passiamo ad uno shooting fotografico e chidiamo il vantaggio dei primi: ci dicono 10 minuti, in realtà erano meno di 5….vaffanculo!!! (Presi non li avremmo presi lo stesso, ma al morale non ci avete fatto del bene.)
Si va avanti, e Rocco lo vedo che sbraita. Vorrebbe allungare il passo, ed in effetti i 33/34 di media attuali lo permetterebbero, io ci penso un sacco di volte, le gambe stanno meglio, le crisi superate: sono stanco certo, ma come al solito alla lunga il mio fisico riviene fuori e se non fossi arrivato da un periodo di forte debilitazione come questo avrei provato ad alzare il tiro. Ma anche la faccia amica di Huxley è stanca, la sera prima ha dato troppo anche lui in altre cose, e capisco definitivamente che non c’è spazio per gesti eroici. Ma neanche per mollare il colpo. Intanto Chivasso è il primo segnale che ormai ci siamo, il percorso cambia, si taglia qualche città, c’è traffico e un po’ di paura di sbagliare a qualche bivio. La differenza tra un giro in circovallazione e tagliare il centro può costare diversi km in più, ma non per forza più tempo: è una sorta di rulette, ma direi ci gicohiamo bene le nostre puntate. L’illusione di un errore di chi è davanti ci porta anche a spingere mentre ci avviciniamo a Torino: Settimo passa tutta di un fiato – solo un passaggio sul pavè ed un tentativo di smettere di pedalare mi regalano un ultimo brivido, ma lascio che la gamba giri da sola e recupero l’assetto prima di fare danni – e non faccio in tempo a ripensarci che siamo sul Po. E siamo dal lato giusto, a forse meno di 4 km dall’arrivo (ma ad un bivio facciamo in tempo a sbagliare ancora io e Rocco, dove con un pericoloso contromano su vialone ci rimettiamo in gruppo un po’ incazzati che nessuno ci ha avvisato). Ma ora so che questo vialone è l’ultimo, è quello giusto, devo solo trovare l’entrata del velodromo: un capannello di bici di appassionati e spettatori per fortuna me la segna poco dopo un semaforo dove rimango esterno e scatto via in piedi sui pedali, Rocco anche se brakeless ed interno si divincola in qualche modo – l’esperienza paga – non mi è di fianco, ma sento che sta arrivando. Io intanto sono sempre in piedi sui pedali, ed entro a ruota del fiorentino nel sottopasso: esco alla luce. Vedo le curve, le paraboliche, il prato, il furgone di Le Coq Sportif che mi aspetta, vedo sul prato già un gruppetto di facce note, sento Fra che mi urla “bravo Lele!”, faccio il giro come da copione. Se i primi erano in 8 o 10 – dei quali mi riempiono di orgoglio, lo sbarba di Ciclistica primo, Menthos secondo e soprattutto il Fra terzo, Molla Buni cazzo! – degli ottanta partenti io sono il 10imo o 12esimo a entrare al Velodromo, 8 minuti dopo i primi.
Ma chi se ne fotte dei numeri ora. Rallento prima dell’ultimo rettilineo, rallenta anche il fiorentino e arriva Rocco: come ci eravamo detti in precedenza l’arrivo lo facciamo insieme. Siamo in tre affiancati, è finita, metto le ruote sull’erba. Mi stacco dai pedali, sono quello nella foto qua sopra. Sono io. Sono felice.
(pictures courtesy of milanofixed)