Pensavo di partecipare all’Eroica, invece ho fatto un viaggio.

Si, perché L’Eroica è un viaggio, ma non per la sua lunghezza, per quanti borghi attraversi, o per il tempo che impieghi. È un viaggio e basta. Ma andiamo per ordine.

Mi sono iscritto quasi per caso, grazie ad una amica, con la sola voglia di portare la bici di mio padre (una bellissima Bianchi degli anni ’70) ad affrontare percorsi che a mio padre piacerebbero, ma che ora faticherebbe a fare. Una sorta di sostituzione in corsa, tra me e lui.

Recupera l’abbigliamento, studia il percorso 10 minuti (si, non sono solito studiare i tracciati) e convinci l’altro cinghiale Alby a inscriversi. È stata dura, son dovuti passare almeno due minuti prima che si convincesse.

Ma facciamo un salto temporale e arriviamo alla gara: ritiro pacchi gara con la famiglia il venerdì, la sera arriva Alby, cena a Siena, rientra in appartamento dove dormiremo meno di due ore, ma solo dopo aver rifinito i nostri baffi (i miei quattro peli sono un duro lavoro di settimane).

La mattina della gara siamo carichi e agitati perché sappiamo che ci stiamo avventurando in qualcosa di grande, ma non abbiamo ancora idea di quanto grande.

L’avventura inizia alle 5 di mattina, trascorre il tempo e passano le prime salite fino all’entrata in Piazza del Campo a Siena prima che albeggi. Li iniziamo a prendere le misure con lo spettacolo che stiamo vivendo.

Ripartiamo, non mancano piccoli problemi meccanici, qualche strizza per i freni umidi che non fanno il loro lavoro, le ore che passano e qualche problema che si fa un po’ più grande. E poi? E poi Alby grazie ad un meccanico che sembra davvero uscito dalla storia lo risolve, e noi ripartiamo. In tutti i sensi. Alby anche troppo 😀

Il sole si è fatto alto e la nebbia è sparita, i paesaggi si sono fatti più profondi. Passiamo da un paesaggio all’altro, siamo stanchi e felici, pedaliamo da ore, ma non sappiamo più quante. E pomeriggio? È quasi sera? No, sono le 11, e noi siamo stupiti.

Un altro paesaggio, un altro borgo, una nuova salita, una discesa che ti fa irrigidire sulla bici.  La sensazione che la bici sia sempre sbagliata per quella strada bianca, e la continua e crescente sensazione che non vorresti essere lì se non con quella bici.

Di colpo il tempo non importa più, la distanza non conta più. Sei stanco, non vedi l’ora che i chilometri finiscano, ma in realtà vorresti non finissero mai.

Eccolo, lo hai capito, sei finito lì, dento il viaggio. Il tuo viaggio. Fatto di paesaggi da lasciarti ammutolito, di vera fatica, di vera soddisfazione, di crisi di fame, di parole “tirate” alla tua bici, di ristori che sanno di festa di paese, dei pensieri solo nella tua testa, e di quelli che condividi col tuo amico e compagno di viaggio (e sofferenze, e imprecazioni, e ribollita)

Un viaggio, che non ti aspettavi, che vorresti raccontare ma che sei sicuro non riuscirai a descrivere agli altri quanto vorresti

Al 212 km però questo viaggio finisce. Con quella foto al traguardo, con il cinque scambiato con Alby, con la medaglia che appenderai nella tua pain cave. E tu, di colpo, vorresti non fosse mai finito.

Poi arriva la voglia di sbranare qualsiasi cosa, di farti una doccia e di dormire. E la mattina dopo sei lì, con un sacco di cartoline nel cuore, le gambe di piombo e la testa da qualche parte. Che lei si, il viaggio non lo ha ancora finito.