Guardarsi indietro
ho iniziato più volte a scrivere di questa lunga corsa avventura e ogni volta cambio idea e non scrivo niente.
Ha la forma di una piramide senza punta e questa volta, la quarta, mi fermo mi giro e la guardo per piu’ di un istante, potrebbe essere l’ultima. Ausilia pedala davanti a me mentre mi sento felice di essere ancora qui.
Questa volta l’uscire dalle montagne non sancirà il pericolo scampato ma solamente uno dei tanti avamposti che fortificherà il nostro cammino.
Quarto anno di Alaska, e con non pochi sacrifici riesco a permettermi di essere ancora sotto lo striscione di partenza. Per il terzo anno con me Ausilia la mia compagna che ama come me la difficolta’ e la bellezza nelle cose.. L’ Iditarod trail Invitational 2013 ha una destinazione lontana, lunga circa 1800 km lungo il tracciato storico dell’Iditarod , per noi da Knick Lake a Nome (la gara piu’ famosa dei cani da slitta partira’ una settimana dopo da Wasilla a nord di Anchorage Last Great Race on Earth ).
Con noi altri cinquanta tra ciclisti e podisti e la nostra bici “grassa” per via delle ruote che con gomme più larghe del normale e più sgonfie da alcuni anni consente di avere più stabilità sui sentieri di neve. Davanti a noi invece montagne laghi e fiumi ghiacciati su cui seguire un percorso storico impraticabile con la bella stagione. Qual’e’ la bella stagione?
Un deserto bianco fatto oltre che di neve di ghiaccio di paure di emozioni e di pericoli.
Perchè cercare una gara simile? Cosa troveremo al di là del traguardo intermedio di McGrath dopo un terzo di gara? Staremo facendo la cosa più giusta? E se mi cambiavo la macchina invece di investire tempo e denari in questa lontana parte del mondo? Sarò in grado di affrontare questa “Natura”? e di farlo con la persona che amo di più al mio fianco? Potrei sciorinarmi/vi domande a raffica ma cercherò di non distrarmi e stancarvi.
I tanti dubbi e domande seguono chi ha voglia di muoversi e dato che esiste sempre una risposta decido di spostarmi e di cercarla ovunque e in qualsiasi modo.
24 febbraio 2013 ore 14 partenza da Knick Lake tempo mite e questo non e’ sempre un bene. Ho uno strano timore fin dall’inizio e mentre filmo vedo scorrere tutti i partenti.Qualche anno fa ero più sicuro di me. Forse perchè più giovane?
Dopo poco mi riporto sotto e con Ausilia decidiamo per la prima volta di seguire le tracce delle bici che ci precedono e che svoltano a sinistra per una deviazione che lascia lo storico trail per una pista ghiacciata più battuta che convergerà anch’essa a Flatorn Lake..Nelle annate buone per le bici poteva essere un vantaggio il fondo scorrevole..mentre ricordo la scorsa edizione quando costretti fin da subito nel trail a camminare per l’enorme quantità di neve fresca caduta nei giorni che precedevano la gara, nei pressi del lago Flatorn a notte fonda scorgevamo le luci nel versante opposto di chi aveva tentato la via più veloce..La neve candida, bianca, soffice può rendere eterno il progredire. E’ lei che decide se farti avanzare e soprattutto a che ritmo. Avere coscenza di questo ti porta a raggiungere qualsiasi obiettivo. Il tempo non manca mai.
Davanti, ad un centinaio di metri scorgiamo Bob Ostrom l’alaskano che arriverà primo al traguardo di Nome e altri concorrenti ciclisti addobbati e carichi.
Nel buio della sera e prima che il lago finisse quest’anno per la prima volta apprezziamo vista la serata non troppo rigida un punto ristoro a sorpresa incustodito con una tanica di acqua non ancora ghiacciata e un messaggio che avevo incontrato anche in Australia qualche anno prima “the only easy day was yesterday” che io trasformo in un lamento che ripeto ogni sera ad alta voce per me e per Ausilia il “difficile di questa gara sarà solo domani..”Mi accorgo presto che questo mantra tiene me in costante allerta ma irritera’ lievemente Ausilia. Me ne rendo conto ma adotto questo agire per il bene di entrambi. Resistere psicologicamente ad una fatica come quella che affronteremo e tenere alta la percezione dei pericoli. Un primo traguardo.
Navighiamo nel “mare nostrum”. siamo felici anche se gia’ affaticati..
Conosciamo la prima parte pianeggiante fatta di laghi e fiumi ghiacciati poi la muraglia dell’Alaska Range con le cime piu’ alte dello stato e del Nord America con il Denali. Il Rainy Pass, la nostra porta di ingresso o di uscita dove e’ raro vedere il colore del cielo e alzare lo sguardo per via dei venti violenti e delle nevicate che rendono il passo soggetto a valanghe e a problemi di visibilita’.
Poi Rohn per me importante come la mia casa. Ci si sente al sicuro in questa tenda riscaldata.Un letto di neve ricoperto di rami di abete essenziale per riposare qualche ora. Una zuppa e una cioccolata calda il nostro oro. Qui anche se la stanchezza ti riempie la testa di timori sulla preparazione a questo viaggio e’ piu’ forte il desiderio di andare oltre. Rohn una molla verso il cuore dell’alaska.
Le emozioni piu’ grandi sono di casa a Rohn. Non vedo l’ora di tornarci..
Farewell Burn colline interminabili e Nikolay prima di perdere al quarto anno la deviazione che attraverso la strada ghiacciata raggiunge comodamente McGrath. Le anse del Kuskowin river saranno eterne, il nostro golgota. Ottimo inizio per mettere alla prova la mente di fronte all’imprevisto calcolato. So dove sono devo continuare a bere impieghero’ qualche ora in piu’ ma arrivero’. Tornare indietro sarebbe stato troppo dispendioso. Ausilia la piu’ provata dalla mancanza di certezza. Non e’ facile a parole convincere di fronte ai fatti..serve pazienza.
McGrath5 giorni e 9 ore.
Ora inizia il vero viaggio. L’anno dispari attraversa la variante sud verso il villaggio fantasma di Iditarod, la piu’ impegnativa per il dislivello da fare a piedi e per l’impraticabilita’ del trail. Chi tenta di arrivare a Nome da sempre, di certo non sceglie come noi primi italiani in bicicletta per la prima volta la variante piu’ difficile e faticosa..Motivati e in forma dopo cinque giorni di fatica e uno di riposo a casa di Peter e Tracy ma anche di acclimatamento perfetto per cio’ che ci aspettera’ partiamo sotto un sole tiepido.
Giorno dopo giorno la forza che riusciamo a dare al nostro ritmo quasi sempre a piedi ci stupisce. Ci fermiamo prima del paese abbandonato di Iditarod nelle cabin incustodite ma sempre aperte di Tolstoi e Moose Creek. Ottimo rifugio per sciogliere la neve e mangiare al riparo dai venti.
Qui tutto e’ evocativo e abbandonato Iditarod significa posto lontano in lingua Athabaska, citta’ sorta durante la corsa dell’oro nel 1910 sulle sponde del fiume omonimo e cresciuta tanto da contare una banca alberghi auto e migliaia di minatori che cercavano di cambiare la loro vita. Ci aspettavamo di bivaccare all’aperto ai margini del CP vero e proprio della gara dei cani per non creare disturbo ma un welcome superlativo rivoltoci da Mike Curiak in persona ci fa sorridere e ci regala il dono piu’ grande. L’ospitalita’ che insieme alla nostra riverita umilta’ apre con rispetto tutte le porte.
Un piatto di spaghetti al pomodoro con i volontari della gara piu’ famosa e un riposo al “coperto” rendera’ l’attesa un premio. Bob qui incontra l’amico Bill fuori gara ma anch’esso in bici determinato per la prima volta a compiere la tratta di andata e ritorno in circa cinquanta giorni..Il nostro cercatore d’oro e di vita preferito!! Il trail riposa ancora, i trail brakers solo la mattina successiva partiranno con le tre motoslitte per aprire il varco che consentira’ a noi e tra poco alle slitte trainate dai cani di passare e raggiungere Shageluk tra due giorni.
A Shageluk poche case affacciate sull’Innoko river ci arriveremo molto stanchi e con il timore di venir travolti dalle slitte lungo l’esiguo trail di gara, il 7 Marzo giusto in tempo per vedere alla 22 l’arrivo di Martin Buser leggenda dell’Iditarod e dei suoi cani. L’evento sportivo coinvolge tutta la popolazione del piccolo villaggio assiepata nel piccolo centro su cui e’ possibile trovare la scuola una lavanderia pubblica e il bar centro sociale del paese. Domani entreremo nello sconfinatoYukon. Timori che si perdono tra i libri della biblioteca della scuola che ci ospita e ci dona momenti di serenita’.
Al mattino prima della partenza condividiamo con alcuni studenti e la loro professoressa la prima mezz’ora di lezione. Ci presentiamo e indichiamo in una lavagna luminosa la nostra provenienza la nostra terra, le nostre montagne i nostri fiumi. Ci tengono a conoscere il territorio da cui proveniamo. Questo ci aiuta a capire quanto siano legati al loro..
Anvik,Grayling,Eagle Island Kaltag due bivacchi all’aperto su di un fiume ghiacciato temperature vicine allo zero termico e ai meno 40 in poche ore. quattro giorni anestetizzati da un tapis roulant al contrario chiamato fiume Yukon. Molti i team che ci incitavano e che si prendevano cura dei propri cani. E’ importante anche per noi. Prendersi cura dei piedi del corpo qui..Un ossimoro nel cuore dell’Alaska.
Un saluto e un “adagio” sorridendo rivoltoci da Micth Seavey vincitore dopo 9 giorni e 7 ore dell’edizione 2013 ci da carica determinazione e ritmo giusto.
Era improbabile che Micth conoscesse l’italiano, piu’ facile invece che amasse il tempo musicale ad andamento lento e che da sempre viene indicato su qualsiasi pentagramma con termini italiani.
“Allegramente” continuiamo la nostra sinfonia.
Ad Unalakleet riusciamo stupiti a festeggiare con pizza alle 4 del mattino il nostro arrivo sulla costa del Norton Sound. Marie un angelo di ragazza incontrata di notte sotto un cielo stellato alle porte del paese in attesa delle slitte ci ha aiutato a rintracciare, alle 4 del mattino, il prof di educazione fisica che dopo averci aperto la scuola per riposare come secondo lavoro sforna pizze al Peace on Earth. Pizza che non dimenticheremo mai.
La costa. Da sempre temevo questa sezione i venti violenti di queste parti sono di casa. Molto meno due goffi ciclisti affamati. Recuperiamo sempre il pacco di cibo spedito negli uffici postali prima della partenza ma ci accorgiamo spesso che il cibo e’ al limite e la fame supera cio’ che pensavamo e dove possibile rimpinguiamo con un po’ di spesa nell’unico market del villaggio.
Non fuggiamo dal nulla penso continuamente, e se nascevo cento anni fa forse mi sarei spinto a partire come Felice Pedroni alla ricerca dell’ oro o avrei assistito alle prime edizioni della Mille Miglia prima gara su strada per auto che realmente avvicinava le persone e un paese ad un evento sportivo.. Il vagabondo delle stelle di London mi ricorda questo mio saltellare nelle epoche e vivere ogni volta una vita nuova..ma ora sono qui questo e’ il nostro tempo e con una bici, attraverso una terra dove tutto si livella..il vento e’ vento per tutti la salita e’ erta per tutti il freddo e’ gelido e sferzante per tutti..pedalo, cammino spingo la bici mi curvo, lo sguardo perennemente con la testa china, ma che non ha nulla a che vedere con la sindrome dello smartphone, ogni passo che supera i cumuli di neve riportati continuamente dal vento nel trail e’ un passo in meno verso Nome. Quando poi entro nella Shelter Cabin dopo Shaktoolik o nella Gweek Cabin dopo Koyuk o a Walla Walla Cabin o Topkok Cabin ringrazio chi le ha costruite e le ha volute proprio li’. Un riparo che puo’ salvare la vita, quattro pareti di legno una stufa, una tavola come letto dove poter riposare per prima la testa dal vento che crea vortici e che travolge la mente debole.
Attraversare i sessanta km della Norton Bay prima di Koyuk un villaggio Eskimo sulla costa ha rappresentato per noi forse uno dei momenti piu’ toccanti. Non una pianta non un arbusto. In lontananza le luci della costa, davanti a noi interminabili ore di spinta e sotto di noi meno di un metro di ghiaccio e poi la vita del mare nella baia di Norton sul mare di Bering. In fianco a noi distese bianche di ghiaccio e vento che lentamente ci accompagnavano verso le luci della costa. un respiro una parola un pensiero un sorriso.Tutto ci e’ servito per arrivare.
Accoglienza sempre in ogni luogo, questo rende piu’ umano un territorio cosi’ ostile.
Continue salite, e il “piccolo McKinley” da superare prima di arrivare a Golovin sotto una tormenta di vento che alzava la neve e riduceva enormemente la visibilita’. Per fortuna che i bastoncini che indicano il sentiero resistevano e la piccola fettuccia di dieci centimetri arancione riusciva a farsi vedere bene nel bianco della neve. La casa di Joanna a White Mountain poi e l’aurora boreale un semplice segno di chi ci vuole bene.
L’arrivo a Nome con la colonna sonora di c’era una volta in america nella testa, un tramonto, tanta Alaska come oppio per scoprire passato e futuro e la nostra grande onda di Hokusay superata, fatiche vicissitudini che si alternano al solo pensiero che avevo nella mente di arrivare. Un idea che mi teneva vivo, assorbiva in me molto del tempo che ho trascorso con la persona che amo di piu’. Pedalavo e pensavo a questo nostro momento mangiavo spingevo la bici e pensavo a questo nostro arrivo. Ho rispettato qualsiasi difficolta’ affrontando sempre il reale piu’ vicino a noi, condividendo la nostra fragilita’ di fronte alla Natura che avrebbe impedito in qualsiasi momento di non farci arrivare.
Martedi 18 Marzo. Dopo 22 giorni e 7 ore la meraviglia tanto desiderata era nostra.
Pochi istanti e un pensiero gia’ oltre a quando con piu’ sobri colpi di pedale nel giardino di casa ricorderemo a noi stessi che siamo ancora vivi.
Grazie Ausilia e
Sebastiano
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Color of life Yetna River |
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no place I’d rather be..Thanks Anne |
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Koyuk con Christine Roalofs Red Lantern 2013 |
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Sebastiano Favaro